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martedì 25 gennaio 2011

Articolo di Piercamillo D'Avigo, pubblicato su NARCOMAFIE, sul Tema della Corruzione

CON LE ARMI SPUNTATE
Un reato difficile da individuare e da punire, sia per l’omertà che lo circonda sia per le carenze legislative e la depenalizzazione. Come vincere la battaglia contro la corruzione?
di Pier Camillo Davigo

La corruzione è un reato con una cifra nera molto elevata. Si definisce cifra nera la differenza fra il numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie. La cifra nera varia a seconda di molti fattori, fra i quali il tipo di reato ed il contesto in cui viene commesso. La cifra nera della corruzione dipende dal fatto che è un reato a vittima diffusa (nel quale nessuno percepisce di essere stato danneggiato direttamente); dal fatto che, normalmente, viene commesso in assenza di testimoni, posto che raramente viene perpetrato in presenza di soggetti estranei; e che corrotti e corruttori hanno un convergente interesse al silenzio. Pertanto la corruzione non viene quasi mai denunciata e si scopre solo facendo indagini su altri reati.
In passato veniva scoperta in occasione di indagini su reati finanziari (soprattutto annotazione di fatture per operazioni inesistenti), societari (false comunicazioni sociali) o di abuso d’ufficio. I reati di corruzione richiedono infatti generalmente la disponibilità di somme di denaro, talora rilevanti, gestite extra contabilmente dalle imprese e più in generale la possibilità di rilevanti movimenti di denaro contante senza particolari controlli. In presenza di una effettiva situazione di trasparenza contabile sarebbe stato molto più difficile prelevare e trasferire le ingenti somme utilizzate per gravi fatti di corruzione. D’altro canto l’abuso d’ufficio può essere un indice rivelatore della corruzione. Tali reati sono stati peraltro depotenziati da varie modifiche normative votate da ciascuno degli schieramenti politici, sicché il numero dei procedimenti in questione è oggi molto ridotto.
Un reato difficile da punire. Il problema principale per attivare indagini sulla corruzione è quindi quello di avere notizie di reato. Sotto questo profilo, oltre a ripristinare una disciplina seria delle falsità contabili, è necessario anzitutto spezzare il comune interesse al silenzio di corrotti e corruttori, prevedendo norme premiali per chi fornisce notizie di reato e prove, analogamente a quanto avviene in materia di collaboratori di giustizia in tema di criminalità organizzata e terrorismo. Però, per indurre qualcuno a collaborare, è comunque necessario avere un procedimento dal quale iniziare. Sotto questo profilo sarebbe utile la previsione di operazioni sotto copertura analoghe a quelle previste in tema di criminalità, organizzata, terrorismo, traffico di droga, pedofilia ed altro. Tali operazioni, suggerite da convenzioni internazionali, sono frequenti nel mondo anglosassone: negli Stati Uniti d’America sono chiamate test di integrità. Il test consiste nell’offerta o nella richiesta, da parte di un agente di polizia sotto copertura, di denaro o altra utilità e nell’arresto di chi accetti la proposta.
Una volta acquisita la notizia di reato ed avviato il procedimento sorgono ulteriori problemi in conseguenza della inadeguatezza della normativa. I reati contro la pubblica amministrazione sono caratterizzati da un rilevante numero di fattispecie, i cui confini sono talora incerti, specie alla luce di talune oscillazioni della giurisprudenza.
La situazione di fatto che contraddistingue queste forme di attività illecite, è molto diversa dai modelli teorici e dall’elaborazione culturale valutati dal legislatore sia al momento della redazione del codice che nella riforma di cui alla legge 26 aprile 1990, n. 86, che ha modificato le figure di delitti senza mutare l’impianto fondamentale che alla materia era stato dato nel codice penale del 1930 e senza incidere su alcuni dei nodi che si sono rivelati essenziali negli anni successivi.
Le difficoltà non derivano però solo dall’elevato numero di fattispecie a cui ricondurre i comportamenti concreti, ma – paradossalmente – da una realtà criminale molto più articolata e complessa dei modelli teorici compendiati nelle norme.
Una linea sottile Quanto mai problematica è la distinzione fra i delitti di corruzione, propria e impropria, e quello di concussione alla luce dei confini, talora evanescenti, che in giurisprudenza si rinvengono. La nor-ma di cui all’art. 319 cod. pen. Prevede come reato la condotta del pubblico funzionario (intendendosi come tale il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio) e quella del privato che si accordano affinché il pubblico funzionario compia un atto contrario ai doveri di ufficio ovvero ometta o ritardi un atto di ufficio in cambio della promessa o della consegna di denaro o di altra utilità. Si tratta di una formula che sembrerebbe all’apparenza lasciare fuori una serie di condotte solitamente ben più gravi di quella descritta dalla norma.
Due esempi:
− il pagamento per il risultato, in cui nel patto non vi è l’individuazione di un atto ma l’individuazione di un risultato giovevole al privato;
− il pubblico ufficiale a libro paga, cioè il pubblico ufficiale che non è pagato in relazione a una singola pratica, ma che è stabilmente retribuito da un privato perché si ponga a disposizione.
All’apparenza, ad una lettura rigorosamente letterale della norma, queste due condotte sembrerebbero non essere previste dall’art. 319 cod. pen., con la conseguenza che se così fosse, cioè se effettivamente queste due condotte non fossero punibili ai sensi dell’art. 319, si porrebbe un problema di legittimità costituzionale dell’intero impianto dei reati contro la pubblica amministrazione.
Infatti sarebbe invero singolare che fosse punita una condotta meno grave, cioè l’accettazione di remunerazione per un singolo atto e non l’accettazione di remunerazione per il compimento di tutti i possibili futuri atti che dovessero essere compiuti dal pubblico ufficiale.
La giurisprudenza, sulla scorta della valutazione più volte espressa dalla Corte costituzionale, per cui tra due possibili interpretazioni, una conforme alla Costituzione e una difforme dalla Costituzione bisogna privilegiare quella conforme, si è attestata nel senso di ritenere la formula di cui all’art. 319 cod. pen. suscettibile di interpretazione estensiva. La Corte Suprema di cassazione, con interpretazione estensiva, ha affermato più volte che non è necessaria, o comunque indispensabile, la ricerca dell’atto contrario ai doveri d’ufficio.
Si è affermata in giurisprudenza la soluzione per cui il reato di cui all’art. 319 cod. pen. si ha ogni qual volta non siano rispettate le regole inerenti l’uso del potere discrezionale, sicché si ha contrarietà dei doveri d’ufficio ogni volta che un pubblico ufficiale accetti una retribuzione per far uso distorto del potere discrezionale o perché rinunci ad una valutazione comparativa degli interessi, indipendentemente dalla circostanza che l’atto poi emanato coincida con quello che sarebbe stato emesso in condizioni di normalità.
Ad esempio è stato affermato che nel delitto di corruzione propria antecedente l’atto d’ufficio oggetto di mercimonio non va inteso in senso formale, dovendo la locuzione ricomprendere qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale che sia in contrasto con norme giuridiche o con istruzioni di servizio o che, comunque, violi i doveri di fedeltà, imparzialità ed onestà che debbono osservarsi da chiunque eserciti una pubblica funzione. Poiché dal momento consumativo di corruzione esula l’effettivo compimento dell’atto, tanto che il reato si consuma anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla ricezione dell’utilità l’atto che si è impegnato a compiere, la mancata individuazione in concreto del singolo “atto” che avrebbe dovuto essere omesso, ritardato o compiuto dal pubblico ufficiale contro i doveri del proprio ufficio non fa venir meno il delitto di cui all’art. 319 cod. pen., ove venga accertato che la consegna del denaro al pubblico ufficiale venne effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i favori.

Tra corruzione e concussione

Il secondo punto critico è quello della distinzione tra concussione e corruzione. La giurisprudenza aveva escluso che la concussione fosse determinata solo dall’iniziativa del pubblico funzionario, perché con un atteggiamento, per esempio, ostruzionistico costui poteva determinare il privato ad assumere l’iniziativa. La Corte di Cassazione ha poi più volte affermato il principio secondo cui la concussione è compatibile con il fatto che il pubblico funzionario ponga in essere atti contrari ai doveri di ufficio dai quali il privato tragga un vantaggio.
Ancora di recente (Cass. Sez. 6, sent. n. 9528 del 9.1.2009 dep. 3.3.2009 rv 243047) è stato infatti ribadito che “in tema di concussione, la circostanza che l’atto oggetto di mercimonio da parte del pubblico ufficiale sia illegittimo e contrario ai doveri d’ufficio non comporta di per sé il mutamento del titolo del reato in quello di corruzione, neppure quando il soggetto passivo versi già in una situazione di illiceità e sia consapevole dell’illegittimità dell’atto, dovendosi ritenere sussistente il delitto di concussione quando la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale abbia creato uno stato di timore tale da escludere la libera determinazione della volontà del privato, in conseguenza dell’abuso della qualità o dei poteri del primo”. (Fattispecie relativa all’induzione di cittadine extracomunitarie a prestazioni sessuali, commessa mediante l’abuso della qualità e dei poteri di assistenti della Polizia di Stato in servizio presso l’ufficio stranieri di una Questura).

L’Auto Riciclaggio

Ovviamente diventa difficile coniugare la qualità di danneggiato del privato, di persona offesa del delitto di concussione (che nella sua fattispecie arieggia quello di estorsione, a parte la qualità soggettiva del pubblico funzionario) rispetto all’eventuale vantaggio che il privato abbia indebitamente percepito in virtù dell’avvenuta violazione dei doveri d’ufficio da parte del funzionario pubblico.
Come si può allora distinguere la concussione per induzione dalle forme di corruzione? Il parametro, con una semplificazione, va individuato nel rapporto di forza tra il pubblico funzionario e il privato. Il rapporto di forza è quello in concreto, perché è evidente che il pubblico funzionario è sempre titolare di poteri che il privato non ha: il raffronto non è normativo ma va effettuato rispetto alla situazione di fatto. Il criterio individuato è quello di vedere in concreto come si sono rapportati in ipotesi di un accordo, cioè di una concussione per induzione che sia sfociata in un accordo tra il privato e il pubblico funzionario, se questo accordo è avvenuto su base paritaria oppure se la volontà del privato è stata coartata. La costruzione è fragile e credo sarebbe bene sopprimere la figura della concussione per induzione, come ci chiede anche l’O.C.S.E. Sarebbe quindi utile la iscrizione delle fattispecie.
A valle dei reati concussione e corruzione è indispensabile l’introduzione della figura dell’auto riciclaggio.
Oggi non è punibile per riciclaggio chi è concorso nel reato presupposto. Ciò significa che se il riciclatore ha assicurato la sua disponibilità a riciclare il denaro prima che il delitto presupposto sia stato commesso, non è a lui applicabile la sanzione per riciclaggio.
In reati seriali come quelli di corruzione l’attività di un riciclatore, quanto meno dopo il primo episodio, sarà da ricondurre ad ipotesi di concorso nel reato, potendosi considerare il riciclatore a disposizione.

1 commento:

  1. L'analisi è triste e puntuale, purtroppo!
    Serve davvero una svolta normativa e civile!

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